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Il Piccolo Principe
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Quando ero ancora un bambino non troppo grande mi capitò di vedere in un libro un’illustrazione bellissima, che mi colpì moltissimo. Il libro si intitolava Storie vissute e il disegno era quello di un serpente, un boa constrictor, che aveva inghiottito un grosso animale. I fatti della foresta e della giungla mi hanno sempre affascinato. Così, dopo aver visto quel disegno lo sapete che cosa ho fatto? Ho preso la matita, i colori, un foglio di carta e ho disegnato anche io un boa che si era inghiottito la preda tutta intera. A me sembrava proprio un’opera d’arte: che capolavoro! Ma le persone adulte a cui mostrai il disegno, purtroppo, non la pensavano come me. – Che cos’è? Un cappello, vero? Bello! – dicevano guardando il disegno. Capite? Le persone grandi scambiavano il mio splendido boa per un cappello. Però non mi sono fatto subito prendere dallo sconforto. Sperando di aiutare gli adulti a capire, ho disegnato un grosso elefante dentro il mio boa. Ma l’aggiunta, invece di chiarire tutto, complicò la situazione. – Cos’hai disegnato dentro il tuo cappello? – domandavano le persone adulte spalancando gli occhi davanti al foglio – Mi dispiace, ma non capisco. – E poi, per cambiare discorso, mi dicevano che, invece di perdere il tempo coi colori e le fantasticherie, avrei fatto molto meglio a studiare la grammatica, la geografia, la matematica e tutto il resto. Eh sì, per i bambini è una faticaccia dover sempre spiegare tutto a chi è più grande di loro! Così, ho smesso di disegnare e ho fatto quello che mi dicevano di fare. Sono diventato un pilota e ho imparato a volare sugli aeroplani. Sono passati svariati anni dal giorno in cui disegnai un boa con dentro un elefante ma la mia opinione delle persone grandi non è migliorata granché. Così ho trascorso la maggior parte del tempo per i fatti miei finché, un giorno, non mi capitò un incidente: il mio aereo si guastò e precipitò in un deserto di sabbia.  Accadde circa sei anni fa. Per fortuna, durante la caduta non mi feci troppo male. Avevo anche studiato abbastanza geografia da sapere che ero finito nel deserto del Sahara. Avevo scorte d’acqua per circa una settimana e sapevo di dover provare ad aggiustare il mio aereo da solo. Altrimenti, me la sarei vista brutta! Quando in cielo spuntarono le stelle, mi addormentai sulla sabbia con addosso la tuta da pilota invece che il pigiama, lontano da tutto e da tutti. Immaginate, quindi, la mia sorpresa quando al mattino, mentre ancora dormivo, sentii una vocina di bimbo che chiedeva: – Ehi, mi disegni una pecora, per favore? – Mi svegliai di soprassalto e sobbalzai. La vocina ripeté di nuovo: – Ehi, mi disegni una pecora, per favore? Scusa se ti ho svegliato! – Mi sollevai: volevo capire a chi appartenesse quella bizzarra vocetta. Davanti a me c’era una personcina che sembrava proprio un bimbo. E, nonostante fossimo in mezzo al deserto, questo bambino sembrava tranquillissimo e perfettamente a suo agio. Non potei evitare di fissarlo con gli occhi sgranati e di domandargli: – Ma che ci fa uno come te tutto solo nel bel mezzo del Sahara? – Sapete cosa mi disse il bambino? Mi chiese (di nuovo) di disegnargli una pecorella! Me lo chiese con tanta serietà che non ebbi il coraggio di dirgli di no. Prima di cominciare, però lo avvisai: – Guarda che a disegnare sono una schiappa! – Lui rispose che non aveva importanza. Schiappa o no, voleva solo che gli disegnassi una pecora. Così mi misi all’opera. Quando gli mostrai il disegno finito, mi disse che lui non voleva una pecora malaticcia. Riprovai. Quando gli feci vedere il mio secondo disegno, commentò che quella non era una pecora ma una capretta perché aveva un paio di corna ai lati della testa. Feci un altro tentativo (il terzo), ma il piccolo sconosciuto stroncò anche quello. Iniziavo a non poterne più ma a un certo punto ebbi un’idea. Presi un altro foglio e disegnai una scatola. Sulla scatola disegnai anche alcuni forellini. – Guarda, la tua pecora è qui dentro! – dissi allungando il foglio al piccolo sconosciuto. La sua reazione mi lasciò a bocca aperta. Con che entusiasmo accolse il disegno! – Proprio come la volevo! – disse, approvando la mia creazione. Ma dopo un istante sembrò incupirsi e mi domandò: – Secondo te, questa pecora avrà bisogno di un prato molto grande dove pascolare? – – Come mai me lo domandi? – – Perché, sai, io abito in un posto molto, molto piccolo…– – Non preoccuparti! La pecora nella scatola è piccina. – Per me non fu affatto facile capire da dov’era uscito questo piccolo principe. Infatti, lui mi tempestava di domande, ma quelle che gli facevo io non le ascoltava neppure. Mi fece subito una specie di interrogatorio sul mio aereo. – Che cos’è quel trabiccolo? E a che cosa serve? – – Ehi, non è un trabiccolo ma un signor aeroplano. Quando funziona, serve a spostare le persone in volo. – – Quindi sei venuto giù dal cielo? –  domandò il piccolo principe. – Eh già…– La mia risposta sembrò divertirlo moltissimo, dal momento che scoppiò a ridere di gusto. La sua risata mi fece innervosire parecchio. Cosa ci trovava nella mia sfortuna di così divertente? Non aveva ancora smesso di ridere che mi domandò, tutto contento: – Quindi anche tu provieni dallo spazio, giusto? Mi diresti, esattamente, qual è il tuo pianeta? –  Allora, cominciai a capire.  – Allora sei TU che arrivi da un altro pianeta, vero? – gli domandai puntandogli l’indice contro. Ma lui non mi degnò di una risposta. Invece, tornò ad osservare il mio aereo. Passò un po’ di tempo. Poi, prese i disegni delle pecore che gli avevo fatto e si mise a esaminare quelli. Non sembrava avere proprio voglia di raccontarmi la sua storia, ma io ero curioso. Volevo a tutti i costi saperne di più. Provai a chiedergli: – Dov’è la tua casa? Dove porterai le pecore che ti ho disegnato? – Non mi rispose subito ma, come se ci avesse riflettuto sopra, alla fine parlò: – Di notte, la pecora dormirà scatola. – Sembrava entusiasta di questa idea e così mi offrii di disegnarli anche una corda, per tenere la pecora legata durante il giorno e impedirle di andare troppo a zonzo. Ma a questa proposta il piccolo principe ridacchiò. – E dove vuoi che vada? – disse – Forse non hai capito bene ma dove vivo io gli spazi sono piccoli, anzi minuscoli. – Ho buone ragioni per credere che la casa del piccolo principe fosse l’asteroide B 612. L’asteroide fu avvistato, per la prima e unica volta nel 1909 da un astronomo turco.  Poco dopo, lo studioso presentò la sua scoperta durante una conferenza. Nessuno però gli credette. Il motivo? L’astronomo indossava il fez, che è un tipico cappello a forma di cilindro con una nappina. Questo copricapo tipico lo rendeva poco credibile. Lo studioso però, non si arrese. Anni dopo organizzò un’altra conferenza e, per l’occasione, cambiò abbigliamento: indossò uno smoking classico ed elegantissimo. Quella volta, ebbe un grande successo. Tutti gli credettero e l’astronomo ricevette un sacco di applausi. Strano, vero? Ma le persone adulte ragionano in modo un po’ bizzarro. Ad esempio, chi è grande va matto per i numeri, le statistiche e i dati così appena conosce un nuovo bambino lo riempie di domande come: Quanti anni hai? Qual è il voto più alto che hai in pagella? E il più basso? Quanto guadagnano i tuoi? Difficilmente, una persona adulta ti fa domande sulle cose davvero importanti come i giochi e i colori preferiti: fateci caso! Ugualmente, moltissime persone grandi valutano le cose in base al loro prezzo: più il costo è alto, più gli piacciono. Provata a fare con chi è adulto il seguente ragionamento: ­– Le prove dell’esistenza del piccolo principe sono la sua espressione inconfondibile e il suo desiderio di una pecora. Quando vuoi una pecora è la dimostrazione che esisti! – Probabilmente l’adulto in questione vi guarderà dall’alto in basso e, dopo aver sbuffato, vi dirà di non dire sciocchezze. Un ragionamento che piace ai grandi, invece, è questo: ­– Il piccolo principe proviene dal pianeta B 612, la cui esistenza è confermata dalla scienza! ­– Ma non bisogna prendersela troppo. I bambini devono essere pazienti con i poveri adulti. Racconto queste cose con una grande tristezza dentro al cuore. Anche perché mi sto rendendo conto che sono già passati sei anni da quando il mio amico se n’è andato via insieme alle sue pecore. È triste dimenticare un amico, quando ne hai avuto uno. Se non sto attento, rischio di diventare anch’io una persona adulta, tutta chiacchiere e passione per i numeri. Così, ho preso matite e colori e ho deciso di ricominciare a disegnare. Anche se per me non è mica facile. Mi piacerebbe fare un disegno del piccolo principe che gli assomigli sul serio, ma faccio una gran fatica. In ogni schizzo c’è sempre qualcosa che non va: per esempio l’altezza o com’era vestito. Anche raccontando questa storia potrei confondermi su qualche dettaglio importante. Dovete perdonarmi. Il mio amico non è mai stato precisissimo, nei dettagli. Non ne sentiva il bisogno. E credeva che io fossi uguale a lui. Ma io, purtroppo, non sono uno che sa vedere le pecore dentro le scatole. Temo di essere diventato grande e, ahimè, di assomigliare un po’ di più alle persone adulte.
Il Piccolo Principe
Lo sapete? Ogni giorno che trascorrevo insieme al piccolo principe, nonostante tutto, riuscivo a scoprire qualcosa sin più di lui e sul posto da cui veniva. Chiacchierando, le cose venivo a saperle quasi per caso. E così, il terzo giorno che passavo con lui, scoprii storia del baobab. Avete mai visto un baobab? È un albero grande e grosso, dal tronco larghissimo. Ecco come andò. – Ehi, ma le pecore le mangiano, le piante? – mi chiese il piccolo principe. – Sì. – risposi. – Che bella notizia! – commentò lui con gli occhi che gli brillavano per la soddisfazione. Io non riuscivo a capire. Come mai era così contento? Ricominciò con le domande. – Quindi, se le pecore mangiano le piante, allora vuol dire che le pecore mangiano anche i baobab? – – Guarda che i baobab non sono mica piantine: sono alberi giganteschi, grandi come case! Secondo te, come fa una pecorella a inghiottirne uno? – Dopo questa risposta, per chiarire le idee al piccolo principe, gli dissi anche che nemmeno un elefante, anzi, un branco di elefanti sarebbe riuscito a far sparire un baobab. L’immagine degli elefanti fece ridere il piccolo principe, che commentò divertito: – Visto che le foglie del baobab crescono molto in alto, bisognerebbe impilare gli elefanti uno sopra l’altro! – Rimanemmo per un po’ in silenzio, poi il mio amico fece un’osservazione molto saggia: – Però i baobab non nascono giganteschi! Crescono un po’ alla volta. – Gli chiesi perché per lui era così importante avere delle pecore pronte a mangiare piccoli baobab. La sua risposta mi lasciò di stucco. Infatti, esclamò: – Ma come? Non ci arrivi da solo? – Ci pensai un po’ su. E, finalmente, ci arrivai. Dove abitava il piccolo principe, come dappertutto, crescevano erbe e crescevano erbacce. Nel suolo si trovano semi di tutti e due i tipi. Ovviamente, i semi non si vedono perché dormono, coperti dal terreno. Quelle che invece si vedono sono le piantine, una volta che iniziano a spuntare. Così, crescono ravanelli e rose ma crescono anche erbacce e piante cattive. Le erbacce però vanno tirate via subito, altrimenti si diffondono e riempiono tutto lo spazio disponibile. Il problema del piccolo principe? Era che il suolo del suo pianeta era pieno zeppo di semi di baobab. Sapete che cosa succede se un piccolo baobab riesce a mettere radici su un pianeta minuscolo? Succede che, quando è cresciuto, sul pianeta non resta più spazio per nient’altro! Fu il piccolo principe stesso a raccontarmelo. ­– Serve molta determinazione! – mi spiegò – Ogni giorno bisogna pulire bene il pianeta, strappare via i germogli di baobab stando molto attenti a non confonderli con le rose. Bisogna proprio tenere gli occhi bene aperti perché, appena spuntati, i baobab e le rose si assomigliano un sacco! Distinguerli non è difficile, ma ci vuole tempo…– Mi immaginai le lunghe, ripetitive giornate del piccolo principe sul suo pianeta, passate a sradicare i germogli baobab. Mi raccontò che il suo unico svago erano i tramonti. Oh, per molto tempo la sua più grande gioia fu quella di ammirare il sole che tramontava, in una luce color albicocca. Forse proprio per questo, la mattina del quarto giorno che eravamo insieme nel deserto, il piccolo mi principe mi fece una proposta. – Andiamo a vedere un tramonto! – – Guarda che non è il momento. Dobbiamo aspettare…– – Cosa? – – L’ora del tramonto del sole. – Il piccolo principe scoppiò a ridere, grattandosi la testa. – Sai una cosa? Penso sempre di essere a casa mia! – mi confidò. Il fatto è che qui sul pianeta Terra, il sole tramonta una volta al giorno. Sul pianeta del piccolo principe, invece, basta spostare la seggiola su cui si è seduti per ammirare ogni volta un nuovo tramonto aranciato. Così, il mio amico poteva osservare un tramonto appena gliene veniva voglia. Una volta, mi disse, aveva guardato quarantatré tramonti di fila. – Chi ha il cuore triste, – mormorò – di solito ama molto il tramonto. – Avrei voluto capire meglio, ma il piccolo principe non rispose alle mie domande. Il giorno dopo, il quinto, scoprii qualcos’altro sulla vita del mio piccolo amico. Come al solito, tutto cominciò con una delle sue domande. – Li mangia i fiori, una pecora? – – Quando se li trova davanti al muso sì, li mangia. – – Anche i fiori che hanno le spine sul gambo? – – Anche i fiori che hanno le spine. – – E a che cosa servono le spine? –   Non sapevo rispondere al quesito del piccolo principe. A che cosa servono le spine? Non ne avevo la più pallida idea. Inoltre, in quel momento, ero alle prese con la riparazione del mio aeroplano ed ero molto preoccupato perché mi rimaneva sempre meno acqua da bere. Se sei nel deserto del Sahara con un aereo rotto, essere a corto d’acqua è un grosso problema! Il mio amico però non riusciva a pensare a nient’altro che ai fiori. – Mi dici a che cosa servono le spine? – Ogni volta che faceva una domanda, il piccolo principe aspettava impaziente di avere la risposta. Se non la otteneva, ripeteva la domanda, in questo caso: – Mi dici perché esistono fiori con le spine? – Ero molto irritato per i motivi che vi ho spiegato e, alla fine, gli risposi un po’ bruscamente con la prima cosa che mi passava per la testa: – Le spine sono un dispetto! I fiori se le fanno crescere sul gambo per cattiveria, no? – – Ah! – Ma quando parlò di nuovo, il piccolo principe aveva l’aria molto, molto arrabbiata. Disse: – Non ti credo! I fiori sono delicati e fragili. Farsi crescere qualche spina è l’unico modo che conoscono per proteggersi. Le spine servono ai fiori per sentirsi un po’ più al sicuro… – Io rimasi zitto. Ero assorbito dal tentativo di aggiustare il mio aereo e mi sembrava di non avere abbastanza tempo per dargli retta. Lui però era ostinato e insisteva: – Quindi tu sei convinto che i fiori…– – Io non sono convinto di niente! – esclamai interrompendolo – Ti ho detto solo la prima cosa che mi è venuta in mente! Non vedi che sto facendo una cosa importante?! – Il piccolo principe mi guardò con gli occhioni spalancati e, come se non capisse, ripeté le mie ultime parole: – …Una cosa importante? – Poi, mentre io armeggiavo con gli attrezzi per riparare il motore del mio aereo, mi squadrò dalla testa ai piedi ed esclamò furibondo: – Parli esattamente come le persone adulte! – Arrossii. Mi vergognavo perché sapevo che un po’ aveva ragione. Lui però non voleva saperne di tacere e continuava a parlare, arrabbiatissimo. – Una volta, – disse con la vocina stridula per la delusione – mi sono ritrovato sul pianeta del Signor Vermiglio. Una persona a cui, pensa un po’, non piace annusare il profumo dei fiori, non piace ammirare il cielo, non piace volere bene agli altri. L’unica cosa che gli piace fare sono i conti. E mentre fa i suoi calcoli si dice da solo che è bravo perché lui sì che fa una cosa importante! Ma il Signor Vermiglio mica è una persona, sai? Lui è un fungo! – – Cosa hai detto che è? – domandai spiazzato. – Ti ho detto che è un fungo! – Il piccolo principe era ancora schiumante di rabbia. Pallidissimo, proseguì: – Da sempre i fiori si fanno crescere le spine e, da sempre, le pecore mangiano i fiori. Quindi, secondo te, non è una cosa importante cercare di capire perché i fiori cercano di proteggersi con le spine, anche se è inutile? La battaglia tra le pecore e i fiori non è una cosa importante?! – Il piccolo principe tacque un istante, ma solo per riprendere fiato e andare avanti: – Immagina se io ho un fiore, un fiore unico che cresce solo sul mio pianeta e in nessun’altra parte dell’universo. Immagina che davanti a questo fiore arrivi una pecorella che può mangiarselo in un sol boccone e farlo sparire per sempre. Questa secondo te non è una cosa importante? – Allora il piccolo principe scoppiò a piangere. Non diceva più nulla, scosso dai singhiozzi. Nel frattempo, era calata la notte e a me non importava più nulla né dell’aereo da riparare né della scorta d’acqua. Accanto a una stella, sul mio pianeta, c’era un piccolo principe da confortare! Lo abbracciai e per provare a rassicurarlo gli sussurrai: – Il tuo fiore sarà al sicuro! Disegnerò un’armatura per proteggerlo e anche una museruola per tenere a bada le pecore…– La verità però era che non sapevo bene cosa dirgli per farlo stare meglio e arrivare al suo cuore. Mi sentivo veramente senza parole, smarrito. Cosa poteva fare? In fondo, il Paese delle Lacrime è un posto così misterioso!
Il Piccolo Principe
Finalmente, una mattina, all’improvviso il fiore sbocciò in tutto il suo splendore. – Chiedo scusa per la chioma spettinata, – disse agitando delicatamente la sua magnifica corolla di petali – ma mi sono appena svegliato e non ho ancora avuto modo di darmi una sistemata… Il piccolo principe si mise ad ammirare il nuovo arrivato ed esclamo con sincerità: – Sei davvero bellissimo! – Hai ragione, sono proprio bellissimo! In quel momento il mio amico capì che il suo interlocutore non era affatto un tipo modesto, ma ne rimase affascinato. Guardandolo, si sentì invadere dalla tenerezza. – Suppongo sia ora di colazione, – constatò il fiore – mi faresti la gentilezza di provvedere subito alle mie necessità? Non era chiaro se quella del fiore era una semplice richiesta oppure un ordine, ma il piccolo principe corse a prendere l’innaffiatoio per dargli da bere. Il fiore non perse tempo e cominciò subito a fare i capricci e a pavoneggiarsi in continuazione. Un esempio? Una volta, a proposito delle sue quattro spine, disse: – Mi difenderanno dalle tigri! – Di quali tigri parli? Sul mio pianeta non ce ne sono. – obiettò il piccolo principe, che aggiunse: – E comunque, che io sappia, le tigri non mangiano né piante né erba. – Ti sembro forse un’erbaccia? – saltò su il fiore indispettito. – No. Ti chiedo scusa… – mormorò il piccolo principe un po’ mortificato. Non passò molto tempo che il fiore cominciò a tossicchiare. Era una tosse un po’ forzata, come se lo stesse facendo apposta. – Coff, coff…  le tigri non sono un problema ma gli sbalzi di temperatura mi fanno malissimo – disse il fiore – cosa aspetti a costruirmi un riparo? Al piccolo principe venne il dubbio che il magnifico fiore fosse permaloso e incontentabile. Ad ogni modo, gli preparò una campana di vetro sotto cui ripararlo. Ecco, in breve la storia, dell’incontro tra il piccolo principe e il suo fiore che lui stesso mi raccontò qualche giorno dopo averlo conosciuto. – Io, al fiore non dovevo dargli retta! – mi confidò quella sera con un po’ di tristezza. E riflettendo ad alta voce, osservò: – I fiori si ammirano, non si ascoltano. Lui riempiva il mio pianeta di profumo e il mio cuore di felicità. Avrei dovuto capire che tutta la sua sicurezza, tutti i suoi modi vanitosi erano solamente un modo per nascondere quanto in realtà fosse delicato e fragile! I fiori a volte dicono cose che non pensano ma io allora non lo sapevo. Non avrei dovuto lasciarlo…   Provai a immaginare il piccolo principe che si preparava a partire. Quali furono i suoi ultimi gesti prima di mettersi in viaggio? Spazzò con cura i due vulcani attivi che c’erano sul suo pianeta. Il loro calore gli tornava comodo per scaldare i pasti. Già che c’era pulì anche il terzo vulcano. Era spento e inattivo ma, come si dice, mai dire mai! Prima di una partenza è meglio lasciare tutto in ordine. Il piccolo principe strappò via gli ultimi germogli di baobab. Era un po’ triste perché era convinto che non sarebbe mai più tornato. Solo dopo aver innaffiato il fiore e averlo messo al riparo sotto la campana di vetro, il mio amico si accorse di avere tanta voglia di piangere. – Addio! – disse rivolto al fiore. Quello non lo degnò di uno sguardo. – Addio! – disse di nuovo. Il fiore tossicchiò. – Mi sono comportato da sciocco. – ammise il fiore – Mi dispiace. Ora, cerca di essere felice! Il piccolo principe non credeva alle sue orecchie. Mai prima di allora il fiore gli aveva parlato con tanta gentilezza. – E comunque sì, ti voglio bene – aggiunse improvvisamente il fiore – anche se non te l’ho mai detto. Tu, lasciatelo dire, sei stato un po’ ingenuo a non capirlo. Adesso, metticela tutta per essere felice. E, per cortesia, levami di dosso quella campana di vetro! – Ma gli sbalzi di temperatura…– provò a dire il piccolo principe. – Mi faranno bene, – replicò serenamente l’altro –In fondo, sono o non sono un fiore?   – Ma gli animali? – Oh, se voglio vedere qualche farfalla dovrò pur avere un faccia a faccia con un po’ di bruchi, no? Mi faranno compagnia quando sarai lontano. Gli animali feroci, invece, non mi fanno nessuna paura. So come difendermi… – disse il fiore agitando le sue quattro spine. Il piccolo principe lo guardava, senza dire una parola. Fu il fiore a spronarlo: – Cosa aspetti? Hai deciso di partire… e allora parti, no? Adiós, bye-bye, sayonara! – Era così orgoglioso… – mi spiegò il piccolo principe – il fiore non voleva che io lo vedessi piangere, capisci? Fu così che il piccolo principe si mise in viaggio.
Il Piccolo Principe
Sapete chi c’era sul primo pianeta che visitò? C’era un re! Il re era seduto su un trono ed era avvolto da un mantello maestoso. In testa aveva una corona e in mano teneva uno scettro. – Guarda, guarda…– disse il re vedendo arrivare il piccolo principe – ecco un suddito al mio cospetto! Il piccolo principe si avvicinò un po’ confuso. Cosa stava succedendo? Quel tipo lui non l’aveva mai visto prima ma il re si comportava come se lo conoscesse da sempre. Il mio amico non sapeva che per i re la vita è molto semplice: considerano sudditi tutte le persone che incontrano. – Avvicinati! – gli ordinò il sovrano, tutto contento che fosse arrivato qualcuno da poter comandare. Il piccolo principe cercò un angolino in cui sedersi. Dopo aver viaggiato tanto, si sentiva un po’ stanco. Ma sul piccolo pianeta del re non c’era spazio: era tutto occupato dal trono e dal mantello reale. Al piccolo principe sfuggì uno sbadiglio. Il monarca senti lo yawn e si infuriò. – Non conosci le buone maniere? – lo rimproverò il re – È vietato, anzi vietatissimo sbadigliare davanti a un sovrano! – Non posso farne a meno e non lo faccio apposta. Ho fatto un lungo viaggio e sono stanco… – Allora ti ordino di sbadigliare ancora una volta! – Non sono capace di sbadigliare a comando… – ammise il piccolo principe un po’ imbarazzato. Il re bofonchiò qualcosa sotto i baffi. Non tollerava i sudditi disobbedenti. Ma era anche un sovrano ragionevole e benevolo. – Posso sedermi? – domandò il piccolo principe che non si reggeva in piedi per la stanchezza. – Ti ordino di sederti! – fece il re, liberando dal suo mantello un angolino del pianeta. Come faceva il re a esercitare il proprio potere in un regno così minuscolo e solitario? – Vostra maestà, su cosa regnate? – domandò il mio amico. – Su ogni cosa! – esclamò il monarca. Per spiegarsi meglio, il re indicò lo spazio, le stelle e gli altri pianeti che si scorgevano nei dintorni. Il piccolo principe era dubbioso. – Anche le stelle eseguono i vostri ordini? – Ovviamente! Mi obbediscono senza fiatare. Il piccolo principe pensò che se gli immensi poteri del re fossero toccati a lui avrebbe visto centinaia di tramonti, uno dietro l’altro. E senza nemmeno dover spostare la sedia! In quel momento, sentì un po’ di nostalgia per il suo piccolo pianeta. – Maestà, – chiese – Vorrei tanto vedere un tramonto. Potete, per favore, ordinare al sole di tramontare? – Se io a ordinassi a un colonnello di trasformarsi in un trenino elettrico o in un abat-jour e il colonello non eseguisse l’ordine, di chi sarebbe la colpa della richiesta insensata? – Di Vostra Maestà, credo…  – Proprio così. Io non do mai ordini irragionevoli. Perché se io comandassi assurdità scoppierebbe una rivolta. Era un discorso complicato: il piccolo principe cominciava ad annoiarsi. – Potrei avere il mio tramonto? – Darò l’ordine quando arriverà il momento giusto. – E quand’è che arriverà?  – Stasera, alle diciannove e quarantacinque precise! Ma il piccolo principe non ce la faceva più. – Maestà, io parto! – No, ti ordino di non partire e ti nomino all’istante ministro. – …Ministro? – Sì, Ministro della Giustizia. Giudicherai persone e criminali! – Ma qui non c’è nessuno da giudicare! – Allora giudicherai te stesso, che è l’arte più difficile del mondo. – Posso giudicare me stesso dappertutto. Non occorre che io resti qui.   Il piccolo principe però non voleva dare un dispiacere al sovrano. Così gli propose: – Datemi un ordine ragionevole e io lo eseguirò. Per esempio, potete ordinarmi di partire immediatamente. Mi sembra un comando sensato… Il re però non rispose. Solo quando il mio amico era già partito, il sovrano gli urlò dietro: – Ti nomino ufficialmente mio ambasciatore! Ricordatelo! Così, il piccolo principe lasciò il pianeta. Pensava che le persone adulte, come il re, fossero davvero bizzarre. Il piccolo principe arrivò su un secondo pianeta. Sapete chi ci abitava? Ci abitava un omino vanitoso. – Oh, ecco che arriva un mio fan! – si rallegrò l’omino vedendo il piccolo principe. Dovete sapere che per le persone vanitose la vita è piuttosto semplice: considerano tutte le persone che incontrano fan e ammiratori. – Vuoi un autografo, vero? – gli domandò l’omino. Il piccolo principe non gli rispose: la sua attenzione era stata catturata dall’enorme cappello che il vanitoso portava in testa. Molto colpito, gli disse: – Che strano il tuo cappello! – Mi serve per salutare i fan. Me lo tolgo davanti alla folla che mi applaude. – Sul serio? Ma qui ci siamo solo io e te. – Ti faccio vedere. Su, fammi un applauso. Il piccolo principe cominciò a battere le mani. L’omino allora si inchinò davanti a lui e sollevò il cappello dalla testa. Applaudire era più divertente che obbedire agli ordini del re! Ad ogni scroscio di applausi, il vanitoso faceva un inchino e sollevava il cappello. Ma quanto può durare il divertimento per un gioco del genere? Molto poco! Infatti, dopo cinque minuti il piccolo principe cominciò ad annoiarsi. – Cosa bisogna fare per far rotolare il cappello giù dalla tua testa? – domandò per vivacizzare il gioco. Ma il vanitoso non gli rispose: lui dava retta solamente ai complimenti! – Sei un mio grande fan, vero? – chiese l’omino dopo un po’. – Cosa significa essere fan? – domandò di rimando il piccolo principe. – Essere miei fan significa essere convinti, e dire a tutti quanti, che non c’è nessuno più meraviglioso, intelligente, elegante e divertente di me sul pianeta! – Ma tu stai qui da solo. – Fammi questo favore: ammirami e di’ che sei un mio fan. – Sono un tuo fan. – disse il piccolo principe facendo spallucce. Poi, non avendo più niente di cui parlare, se ne andò.   Quanto sono strane le persone adulte: chi le capisce è bravo!
Il Piccolo Principe
Il piccolo principe proseguì il suo viaggio e incontrò una persona che gli suscitò una grande tristezza. Di chi si trattava? Si trattava di un ometto che teneva un bicchiere di vino in mano. Sul tavolino che occupava il suolo del suo pianeta erano appoggiate tantissime bottiglie: alcune mezze piene, molte altre completamente vuote. Il piccolo principe guardava senza capire l’ometto col bicchiere in mano e lo sguardo perso nel vuoto. – Cosa stai facendo? – gli domandò. – Sto bevendo troppo vino. – rispose l’altro senza guardarlo. – E come mai stai bevendo troppo vino? – Lo sto bevendo per dimenticare. – Dimenticare che cosa? – chiese il piccolo principe, rattristato da quell’ometto che beveva senza sosta. – Per dimenticare che mi vergogno tantissimo. – E ti cosa ti vergogni? – volle sapere il piccolo principe, che già pensava a cosa potesse fare per aiutarlo. – MI VERGOGNO DI BERE TROPPO VINO! – sbotto l’ometto, che poi non disse più nemmeno una parola. Il piccolo principe allora lasciò anche quel pianeta pensando che le persone adulte erano un vero mistero.   Indovinate un po’ chi c’era sul quarto pianeta visitato dal piccolo principe? C’era una persona che si occupava di affari! Era un omarino così impegnato a fare i conti che non alzò nemmeno la testa dalla calcolatrice quando il piccolo principe gli si avvicinò, salutandolo educatamente. Quando si fanno in conti, non bisogna distrarsi nemmeno un attimo, neanche per rispondere a un saluto, altrimenti si rischia di perdere il filo. – Buongiorno. – Due più due quattro, più tre sette, più dieci diciassette per tre cinquantuno, per otto quattrocento e otto, per venticinque fa diecimila e duecento! – Diecimila e duecento che cosa? – Diecimila e duecento… boh! Cosa ne so io? Sono una persona molto impegnata: ho molto da fare e poco tempo da perdere!   Come sapete però il piccolo principe, quando voleva la risposta a una domanda, sapeva essere ostinato. – Diecimila e duecento che cosa? Diecimila e duecento che cosa? – iniziò a ripetere senza fermarsi. Finalmente, l’omarino alzò la testa. Dopo aver sbuffato sonoramente, si mise a dire: – Nei cinquantaquattro anni, otto mesi, due giorni, un’ora e tre minuti che ho vissuto su questo pianeta, questa è la terza volta che mi disturbano. La prima è stata una zanzara che vent’anni fa mi ronzava intorno col suo insopportabile ZZZZZ, ZZZZ. La seconda volta, dieci anni fa, a disturbarmi è stato un attacco di mal di pancia torcibudella… ahi, ahi che dolore! E oggi tu. Ma ricominciamo a contare da dov’ero rimasto. Diecimila e duecento… Ma il piccolo principe voleva assolutamente saperlo! – Diecimila e duecento di che cosa? L’omarino sospirò rassegnato e buttò lì: – Di quelle cose che si vedono nel cielo quando si osserva col naso all’insù. – Uccellini? – No. Sono cose luminose, che brillano al buio! – Lucciole? – No, no. Non sono insetti ma cose che stanno in cielo. Ogni tanto ne cade una e chi la vede esprime un desiderio! – Ah, parli delle stelle? – Sì ecco, le stelle! – E quindi eri arrivato a contare diecimila e duecento stelle? – …E mezza! – E cosa ci fai con le stelle che conti? – Le posseggo! – A che cosa serve possedere le stelle? – A essere un proprietario ricco di stelle! – E a che cosa serve essere ricco di stelle? – A comprare altre stelle, no?! Dopo questo botta e risposta, il piccolo principe era piuttosto perplesso. Pensò che il ragionamento dell’omarino assomigliasse un po’ a quello dell’omino che beveva troppo vino. Comunque, aveva altre domande. – Ma come si fa a possedere le stelle? – Che significa Come si fa? – replicò tutto irritato l’omarino e, per una volta, fu lui a fare una domanda al piccolo principe. Gli chiese: – Lo sai di chi sono le stelle? – Uh? Di nessuno credo. – Proprio così! – gongolò l’omarino, che aggiunse: – E allora sono mie perché sono stato il primo che ha avuto l’idea di possederle! – Basta averci pensato per primo? – Come no! Trovi per terra un diamante dimenticato da qualcuno? Diventa tuo! Scopri un’isola deserta e disabitata? Diventa tua! Se sei il primo a cui viene in mente di diventare un proprietario di stelle, basta che registri la tua idea all’ufficio brevetti, ed è fatta. Come sapete, il piccolo principe era un esserino curioso. Quindi, tornò alla carica con le sue domande. – E cosa ci fai con le stelle che hai? – Prima le conto e poi le riconto. – Ma non puoi allungare una mano e prendere una stella! – Naturalmente no. Ma posso depositarla col marchio registrato. – Cosa vuol dire? – Che mi viene consegnato un certificato in cui si dichiara che quella stella appartengono a me! – Ti fa felice? – Oh sì. Mi fa molto felice. Il piccolo principe continuava ad essere un po’ confuso. Lui aveva un rapporto diverso con le cose che gli appartenevano. Provò a spiegarlo all’omarino e parlo così: – Guarda, io ho tre vulcani e una rosa. Ogni settimana pulisco con cura i miei vulcani, anche quello spento, e innaffio quotidianamente la mia rosa. Così sono utile a tutti loro. Tu invece come ti prendi cura delle tue stelle? L’omarino rimase in silenzio perché non aveva nessuna risposta. Il piccolo principe si rimise in viaggio. Avete indovinato cosa stava pensando? Sì, stava di nuovo pensando alla stranezza delle persone adulte! Il piccolo principe arrivò su un altro pianeta, il quinto! Sapete chi c’era su questo pianeta? C’era solo uomo e, accanto a lui, un lampione. L’uomo era occupato ad accenderlo e spegnerlo. “Che mestiere strano!” pensò il piccolo principe “Tuttavia, questo signore è la persona che capisco meglio tra tutte quelle che ho incontrato finora. Quando accende il suo lampione è come se svegliasse una fiammella. Quando lo spegne, invece, è come se mandasse la fiammella a riposare! Lui si prende cura della fiammella, quindi il suo è un lavoro utile e bello!” Dopo queste riflessioni, si avvicinò al lampionaio e lo salutò. Come sempre, il piccolo principe era pieno di curiosità e voleva capire come mai l’uomo accendesse e spegnesse in continuazione il lampione. – Signore, come mai ora lo sta spegnendo? – Io obbedisco all’ordine! – Non capisco… – Cosa c’è da capire, eh? Un ordine è un ordine! – Quale ordine? – Quello di spegnere il lampione. Poco dopo però, lo riaccese. Il piccolo principe voleva capire. – Come mai ha riacceso il lampione, signore? – Io obbedisco all’ordine! – Mi dispiace ma non capisco. – Cosa c’è da capire ancora? Un ordine è un ordine! – e dopo queste parole, il lampionaio, spense il lampione. A quel punto, l’uomo prese un fazzoletto dalla tasca e si asciugò un velo di sudore sulla fronte. Poi sospirò con tristezza e disse: – Eh, che mestiere tremendo faccio! Una volta c’era molta più logica: accendevo il lampione la sera e lo spegnevo la mattina. Avevo l’intera giornata per riposarmi e tutta la notte per dormire… – Poi le hanno dato dei nuovi ordini? – ipotizzò il piccolo principe. – No, ahimè, – rispose il lampionaio – è questo pianeta che ruota sempre più velocemente. Ora fa un giro in un minuto, quindi qui le giornate durano sessanta secondi. Ma l’ordine non è cambiato: è sempre quello di accendere e spegnere il lampione ogni giorno. Sai che significa? Che devo farlo in continuazione, visto che qui un giorno dura un minuto! – Un giorno che dura un minuto… Uau!  – commentò il piccolo principe affascinato. – Guarda che non è affatto piacevole. – precisò il lampionaio – Lo sai che vuol dire? Che io e te stiamo chiacchierando da un mese! – Un mese intero? – fece il piccolo principe sgranando gli occhi. – Ovviamente! Se un giorno dura un minuto, un mese dura mezz’ora, no?   Mentre parlavano, il lampionaio non aveva mai interrotto il suo lavoro. Accendi, spegni. Accendi, spegni. Che fatica! Al piccolo principe venne un’idea per aiutare il povero lampionaio, costretto a lavorare senza sosta. Gli disse: – Signor lampionaio, questo pianeta è così minuscolo che bastano appena tre passi per fare un giro completo. Se lei cammina e rimane sempre esposto al sole, potrà finalmente riposare! – Riposare? – ripeté il lampionaio aggrottando la fronte. E spiegò, alzando un po’ la voce: – IO NON VOGLIO RIPOSARE! IO HO BISOGNO DI DORMIRE! Al piccolo principe non venne in mente nient’altro per aiutare il lampionaio. Rimase per un po’ in silenzio e infine mormorò: – Allora, non c’è via d’uscita – – Esatto: non c’è via d’uscita. Arrivederci! – Il piccolo principe era davvero dispiaciuto! Quel lampionaio era l’unica persona che si prendeva cura di qualcosa di diverso da sé stesso tra tutte quelle incontrate nel suo viaggio. Per questo gli era simpatico: avrebbe voluto diventare suo amico. “…Ma questo pianeta è davvero minuscolo, non c’è spazio anche per me! “pensò il piccolo principe riprendendo il suo viaggio. Una misteriosa malinconia lo assalì: non osava dirsi che se fosse rimasto su quel pianeta, dove un giorno durava un minuto, avrebbe potuto ammirare millequattrocentoquaranta tramonti in appena ventiquattro ore!
Il Piccolo Principe
Il piccolo principe arrivò su un nuovo pianeta: era il sesto che visitava! Questo pianeta era decisamente più grande rispetto ai precedenti. Sapete chi ci abitava? Ci abitava un geografo che scriveva su libroni giganteschi. –Oh, ecco un esploratore in vista! – esclamò lo studioso di geografia quando vide avvicinarsi uno sconosciuto. Affaticato per il viaggio, il piccolo principe prese una sedia e si sistemò accanto all’enorme scrivania su cui il geografo era al lavoro. Questa volta, fu lo studioso a fargli la prima domanda, ovvero: – Da dove arrivi? Il piccolo principe come rispose alla domanda? Con un’altra domanda naturalmente! – Ma a cosa serve questo gran librone? – Sono un geografo! – E che cosa fa un geografo? – Studia! Sa dove si trovano gli oceani, i mari, i laghi i fiumi, le montagne, le città, i piccoli borghi, i deserti, le praterie… – Che bello!   Il piccolo principe si guardò un po’ intorno. Non gli era mai capitato prima di vedere un pianeta così magnifico. Lo disse al geografo: – Questo pianeta sembra meraviglioso! Ci sono oceani? – Boh! Non ne ho idea. – E le montagne? – Boh! Non ne ho idea. – Città, laghi, deserti? – Booooooh!   Il piccolo principe, ancora una volta, era piuttosto perplesso. Domandò: – Scusi, ma lei non ha detto di essere uno studioso di geografia? – Appunto: sono uno studioso io, mica un esploratore!   Il piccolo principe lo guardava senza capire e il geografo riprese a parlare: – Non è lo studioso di geografia che va a visitare le città, i laghi e i deserti! Il geografo è troppo importante per svolgere un compito del genere. Viaggiare tocca agli esploratori, che poi vanno nell’ufficio dello studioso e gli riportano le informazioni. A questo punto, il geografo esaminò il piccolo principe e disse ancora: – A proposito: tu mi sembri proprio un esploratore! Su, raccontami del tuo pianeta. Finito di parlare, lo studioso fece la punta alla matita col temperino, aprì uno dei suoi grossi libroni e si preparò a trascrivere ciò che il piccolo principe gli avrebbe riferito. – Ebbene? – il geografo era impaziente di prendere appunti. – Il mio pianeta? Non saprei.  Ha tre vulcani, di cui due attivi, e un fiore. – I fiori a noi studiosi di geografia non interessano. – Come mai? Peccato, sono così belli! – Perché i fiori non sono duraturi, sono effimeri e sfioriscono in fretta. – Cosa vuol dire effimero? Dovete sapere che i geografi si occupano di annotare cose che non appassiscono e che, anzi, durano per secoli interi, per migliaia o per milioni di anni addirittura! Non capita spesso che un oceano o una montagna cambino di posto oppure spariscano! – Ma il mio vulcano spento, prima o poi, potrebbe eruttare di nuovo. Allora è effimero oppure no? – chiese il piccolo principe. – A noi geografi non interessa se il vulcano è attivo o no. Quello che importa è che stia fermo al suo posto! – Ma quindi, cosa significa effimero? – Una cosa effimera è una cosa destinata a sparire, di solito in fretta. La spiegazione allarmò il piccolo principe. – Se il mio fiore è effimero, allora vuol dire che potrebbe sparire in fretta? – Certo! Che colpo fu quello per il piccolo principe! “Il mio fiore è effimero, indifeso e io l’ho lasciato solo soletto con le sue quattro spine per proteggersi!” pensava. Per la prima volta, si pentì di essere partito per il suo viaggio. Ma si fece coraggio e decise di andare avanti. Visto che si trovava alla presenza di un geografo decise di chiedergli un consiglio: – Quale pianeta dovrei visitare ora? – La Terra. Se ne sente parlare benissimo… Così il piccolo principe si rimise in viaggio, senza riuscire a smettere di pensare al suo fiore. La Terra, che pianeta particolare e affollato! Sulla sua superficie, infatti, si contano centoundici re, settemila geografi, novecentomila omarini d’affari, sette milioni e mezzo di persone che bevono troppo vino, trecentoundici milioni di vanitosi, e diversi miliardi di adulti. Eppure, tutto questa quantità di gente non occupa tutto lo spazio disponibile, anzi! L’umanità, se tutti stessero in piedi e si stringessero tra loro, starebbe in un grosso piazzale lungo e largo appena qualche decina di chilometri. Tutti gli esseri umani del pianeta potrebbero essere trasportati su un qualsiasi isolotto dell’oceano! Se dite una cosa del genere a una persona grande, ovviamente, quella non vi crederà mai. Gli adulti credono di occupare tutto lo spazio del mondo e sono convinti di essere importanti come baobab. Comunque, se vi capita, invitateli a fare due conti!   Il piccolo principe, una volta atterrato, non vide nessuno e si stupì parecchio. Fu assalito da un terribile dubbio: era sul pianeta sbagliato? Poco dopo però vide qualcosa guizzare nella sabbia. – Salve! – disse il piccolo principe, che era sempre educato. – S-ssssalve – ricambiò il saluto il serpente.   – Su quale pianeta sono capitato? – chiese il piccolo principe. – S-sssulla Terra, in Africa – rispose il serpente. – Oh!… ma non c’è nessuno qui sulla Terra? – Qui sei nel desssss-serto, non c’è nessuno nei dessss-sssserti. La Terra è un pianeta molto, molto vasssssto! – spiegò il serpente. Il piccolo principe si accomodò su un sasso (era un po’ stanco) e iniziò a osservare il cielo, pensoso. Riflettendo ad alta voce, mormorò: – Mi chiedo se le stelle sono luminose in modo che chiunque, prima o poi, possa ritrovare la sua… Il serpente lo osservava in silenzio. Ad un certo punto, il piccolo principe indicò un punto col dito ed esclamò: – Guarda il mio pianeta, è lassù… Ma è così lontano!   – Sembra un posssto affasssscinante! – osservò il serpente – Quindi, cossssa ci fai qui? – Ho un rapporto problematico con un fiore! – rispose il piccolo principe.   – Ah… capissssco – disse il serpente con un lungo sibilo. Rimasero in silenzio per un po’   – Dove sono gli esseri umani? – riprese il piccolo principe guardandosi in giro – Si è un po’ soli qui in mezzo al deserto… – S-sssiamo s-sssoli anche in mezzo agli uomini – osservò il serpente.   Il piccolo principe lo scrutò attentamente: – Sei una bestia buffa tu, lunga e sottile come un dito… – Ma io s-sssono più potente asssssai del dito di un re! – precisò il rettile.   Il piccolo principe sorrise, intenerito: – Non credo che tu sia così potente! Ti mancano perfino le gambe: così non puoi nemmeno viaggiare…   – Eh, però io possssso portarti più lontano di una nave! – disse il serpente avvolgendosi intorno alla gamba del piccolo principe come una cavigliera d’oro – quelli che tocco, li faccio ritornare alla terra da cui s-ssssono arrivati!. Ma tu s-ssssei puro e vieni da una stella… Il piccolo principe non rispose nulla.   – S-sssento compassssione per te, così debole, s-sssu questa Terra inosssspitale. Io posssso aiutarti, se un giorno ti mancassssse troppo il tuo pianeta… – Oh! Ho capito cosa vuoi dire, – disse il piccolo principe un po’ spazientito – ma perché parli sempre per enigmi? – Perché io li risssolvo tutti… – sibilò il serpente. E, ancora una volta, rimasero in silenzio.   Il piccolo principe decise di attraversare il deserto. Durante il tragitto incontrò solo un fiore, un piccolo fiore decisamente… spetalato. – Buongiorno! – disse il piccolo principe incontrandolo – Buongiorno! – rispose il fiore, che conosceva le buone maniere. – Sai dove possi trovare gli esseri umani? Il fiore qualche giorno prima aveva visto passare una carovana. Così lo informò: – Umani? Ne ho visti sei o sette, ma non si sa mai dove andarli a cercare! Il vento li sballotta di qua e di là.  Sono creature senza radici…   Il piccolo principe lo ringraziò e proseguì.  
Il Piccolo Principe
Cammina cammina, arrivò a un’alta montagna. Le uniche cime che avesse mai conosciuto fino ad allora erano quelle dei suoi tre bassi vulcani, che gli arrivavano alle ginocchia. “Da una montagna così alta vedrò tutto il pianeta e tutti gli uomini…”  si disse il piccolo principe. ma intorno a sé non vedeva altro che spuntoni di roccia. – Buongiorno! – gridò al vento. – Buongiorno… giorno… orno… – gli rispose l’eco. – Chi sei?! – domandò il piccolo principe. – Chi sei… sei… ei… – gli fece eco l’eco. – Siate gentili: diventiamo amici! Io sono solo. – – Io sono solo…sono solo… solo… – rispose l’eco.   “Che pianeta bizzarro!” pensò il piccolo principe “È un deserto e agli esseri umani manca completamente la voglia di fare conversazione... ripetono tutto quello che gli viene detto! Almeno a casa mia avevo un fiore, che era sempre il primo a parlare!”   Un passo dopo l’altro, finalmente, dopo sabbia, roccia e neve, il piccolo principe raggiunse finalmente una strada e si ritrovò in un giardino pieno di rose. – Buongiorno! – salutò il piccolo principe. – Buongiorno anche a te – risposero le rose. Il piccolo principe le osservò con attenzione: sembravano tutte uguali al suo fiore!   – Chi siete? – chiese con un po’ di stupore nella voce. – Siamo rose. – Ah! – sospirò l piccolo principe.   Si sentiva proprio deluso, il suo fiore gli aveva detto e ripetuto che era l’unico esemplare della sua specie nell’intero universo. E invece, ecco qua migliaia di rose, tutte identiche, che crescevano dentro un solo giardino!   “Pensavo di avere un tesoro: un fiore unico nel suo genere. Poi scopro di non avere altro che una normalissima rosa. Una rosa e tre vulcani che mi arrivano appena al ginocchio. Che dire? Tutto ciò non fa di me chissà che gran principe…” Si gettò sull’erba del prato e pianse.     Fu in quel momento che arrivò la volpe. – Ehi, ciao! – disse. – Ciao… – rispose il piccolo principe, guardandosi intorno per capire chi l’aveva salutato ma senza vedere nessuno. – Ehi, sono qui! – lo chiamò la volpe – Sotto l’albero di mele… –Oh, eccoti… – fece il piccolo principe, notando il suo musetto aguzzo e il suo pelo aranciato, con una spruzzata di bianco sulla coda. Si complimentò, pieno di curiosità: – Come sei graziosa! Chi sei? – Io sono una volpe! – Allora volpe, vieni a giocare con me? Sono tanto triste… – Non posso giocare con te! – Perché? – Non sono addomesticata. Il piccolo principe non aveva mai sentito quella strana parola, addomesticata. Chiese subito spiegazioni, voleva capire: – Cosa vuol dire addomesticare? – Tu non sei di queste parti, giusto? – disse la volpe guardandolo, e aggiunse: – Che cosa stai cercando? – Cerco gli esseri umani! – Ah, gli umani! Mi danno sempre la caccia col fucile… – commentò la volpe sbuffando. Il piccolo principe la guardò, annuì e poi ripeté la sua domanda: – Cosa vuol dire addomesticare? – Oh, è una cosa che nessuno fa più e che tutti hanno dimenticato! Addomesticare significa creare un legame. Creare un legame? Sembrava una cosa complicata! Il piccolo principe guardò la volpe con aria interrogativa. – Creare un legame… – iniziò a spiegare la volpe raccogliendo le idee – Ecco, ho trovato! Prendi noi due, per esempio! Io e te siamo due estranei. Tu per me ora sei uguale identico a centomila altri ragazzetti, non sei nessuno. E anch’io non sono nessuno per te. Ma se mi addomestichi, allora io avrò bisogno di te e tu di me. Diventeremmo unici e speciali l’uno per l’altra. – Sai che comincio a capire? – disse il piccolo principe, che le confidò: – Credo di essere stato addomesticato da un fiore… un fiore cresciuto sul mio pianeta… – Può essere! – commentò la volpe annuendo. Il piccolo principe la osservava, attento a non perdere il filo. Lei continuò: – La mia vita è grigia, ogni giorno è sempre il solito tran tran. Io do la caccia ai polli e gli esseri umani danno la caccia a me. Per me un pollo vale l’altro e un essere umano vale l’altro. Ma se tu mi addomestichi ci sarà un raggio di sole! Riconoscerò il rumore dei tuoi passi, che sarà musica per le mie orecchie. Vedi quei campi, laggiù? Ora per me sono semplicemente dei normalissimi campi di grano ma se tu mi addomestichi mi faranno pensare a te, che hai i capelli biondi e dorati come spighe! La volpe smise di parlare, aveva concluso la sua spiegazione. In silenzio, fissò per un po’ il piccolo principe. Infine, esclamò: – Ti prego, addomesticami! – Volentieri, volpe…– rispose il piccolo principe – però non ho così tanto tempo. Ci posti che devo vedere e amici che devo conoscere. – Guarda che conosciamo solo le cose che addomestichiamo. –  replicò la volpe. – Non basta incontrare una persona per trovare un amico! Ormai gli esseri umani vanno sempre di fretta e per questo sono così soli. Vuoi avere un amico? Perfetto, addomesticami! – Allora, cosa dovrei fare? –  domandò il piccolo principe. – Regola numero uno: bisogna essere pazienti! –  disse la volpe, che proseguì: – Per cominciare, ti siederai sul prato, a una certa distanza da me. Io all’inizio ti guarderò sospettosa, con diffidenza e me ne starò zitta. Ma tu, ogni giorno che passa, potrai avvicinarti un pochino di più… E così, l’indomani, il piccolo principe ritornò. – Sarebbe meglio venire sempre alla stessa ora, puntuali! –  lo accolse la volpe, che poi gli spiegò: – Perché se io so che, per esempio, tu arriverai alle quattro del pomeriggio, dalle tre inizierò a essere felice! Minuto dopo minuto, mentre ti aspetto, sentirò la felicità crescere. Alle quattro, se ancora non ti vedrò arrivare, sarò in preda all’ansia, ma questo è il prezzo della felicità! Se però tu spunti all’improvviso, non saprò per che ora preparare il mio cuore: è un rito. La volpe continuò e gli spiegò l’importanza dei riti. – I riti sono qualcosa che tutti hanno dimenticato ma che servono per rendere un giorno, o un momento, unico e diverso da tutti quanti gli altri. Ti faccio un esempio: i cacciatori ogni giovedì sera celebrano il rito di andare a ballare e divertirsi con le danze.  Per questo, considerano il giovedì una giornata speciale! Lo aspettano con entusiasmo. Se credessero che ogni istante è buono per ballare, non avrebbero più giorni speciali.
Il Piccolo Principe
Così, il piccolo principe addomesticò la volpe fino a quando non si avvicinò il momento della partenza. – Piangerò quando andrai via! – disse la volpe. – Io te l’avevo detto che sarei ripartito. Hai insistito tu per farti addomesticare, ricordi? – le rispose il piccolo principe. – Certo che mi ricordo! – Ma piangerai, cara volpe… – Certo che piangerò! – E che cosa hai ottenuto?! – Ho ottenuto, – disse la volpe – il colore del grano… – Poi suggerì al piccolo principe di andare a vedere di nuovo le rose: avrebbe capito che la sua era unica al mondo! – Prima di partire, torna qui…– concluse la volpe – e ti rivelerò un segreto! Il piccolo principe andò dalle rose e capì che la volpe aveva proprio ragione. Disse ai fiori: – Rose, non assomigliate affatto alla mia, di rosa! Non avete addomesticato nessuno. Siete quello che era la volpe per me prima che ci addomesticassimo a vicenda: una come le altre. Ora però io e lei siamo amici e so che la mia volpe è unica al mondo! Le rose tenevano gli occhi bassi perché si sentivano in imbarazzo. – Siete belle ma non siete nulla per me… – continuò il piccolo principe – Non vi ho mai innaffiato, né protetto dal vento, né ascoltato vantarvi o lamentarvi come invece facevo ogni giorno con la mia rosa, che così è diventata unica al mondo. Infine, il piccolo principe tornò a salutare la volpe. Ricordate? Aveva promesso di svelargli un segreto! Dopo che si furono detti addio, la volpe rivelò: – Prima che tu parta, ecco il mio segreto, semplicissimo. Ricordati che l’essenziale è invisibile agli occhi! – – L’essenziale è invisibile agli occhi… – ripeté il piccolo principe per imprimerselo bene nella memoria e non dimenticarselo mai. – È tutto il tempo che hai dedicato alla tua rosa che l’ha resa speciale! – È tutto il tempo che ho dedicato alla mia rosa che l’ha resa speciale…– ripeté il piccolo principe per ricordarsi anche questo. – Gli esseri umani hanno scordato che diventiamo responsabili di ciò che addomestichiamo. Ma tu ricorda sempre che sei responsabile della tua rosa. – Sono responsabile della mia rosa… Dopo aver viaggiato a lungo, il piccolo principe si imbatté in una stazione ferroviaria e, finalmente, incontrò un essere umano – Buongiorno! –  lo salutò. – Salve. – rispose l’uomo, un controllore. – Che cosa fa? – chiese il piccolo principe. – Organizzo i viaggi e distribuisco i passeggeri nelle carrozze. – spiegò l'addetto al controllo. Un treno sfrecciò sui binari a tutta velocità, così forte da far tremare la cabina del controllore. – Sembra che qui tutti abbiano molta fretta! – osservò il piccolo principe, che poi domandò: – Che cosa stanno cercando? –  Questo non lo sa neanche il macchinista del treno. – rispose l'addetto al controllo.   Nel mentre, un altro treno sfrecciò nella direzione opposta. –  Il treno è già di ritorno? – si stupì il piccolo principe. – Non è mica lo stesso treno... – disse l'addetto al controllo. – I viaggiatori non erano felici nel posto in cui stavano? – Nessuno è mai felice nel posto dove sta. – sentenziò l'addetto al controllo.   Poi passò un terzo treno, velocissimo, che faceva un gran fracasso. – Quei passeggeri stanno inseguendo il primo treno? – domandò il piccolo principe. – No, non stanno inseguendo nulla. – disse l'addetto al controllo – I passeggeri o dormono o sbadigliano, seduti dentro i vagoni. Sono soltanto i bambini che appiccicano il naso ai finestrini e guardano fuori.   – I bambini sono gli unici che sanno ciò che cercano. – rifletté ad alta voce il piccolo principe, che proseguì dicendo: – I bimbi passano tutto il tempo con il loro pupazzo di pezza e ci si affezionano così tanto che, se glielo togli, piangono... – Beati loro! – fece l'addetto al controllo.   Il piccolo principe riprese il suo viaggio. Siete pronti a sentire del prossimo incontro?   – Salve! – disse il piccolo principe. – Salve! – rispose il venditore di caramelline idratanti. – Perché vende queste caramelline? – Perché fanno risparmiare un mucchio di tempo! Ne succhi una e… TAAAC: hai la bocca fresca e sei idratato per una settimana! Non c’è più bisogno di bere durante i pasti o di interrompere quel che si sta facendo per prendere un bicchier d’acqua. A conti fatti, si risparmiano ben cinquantatré minuti ogni sette giorni.   – E cosa si fa in quei cinquantatré minuti? – Quello che vuoi... "Se io avessi cinquantatré minuti, camminerei con calma e pian pianino verso una fontana…" pensò il piccolo principe. Poi se ne andò.   Era l'ottavo giorno che trascorrevo nel deserto dopo che il mio aereo era caduto. Avevo ascoltato la storia del venditore di caramelline idratanti, che il piccolo principe mi aveva raccontato, bevendo l'ultima goccia della mia scorta d'acqua. Così gli dissi:   – Le tue avventure sono molto interessanti, ma non ho ancora riparato il mio aereo e non mi è rimasta più acqua. Sai una cosa? Anch'io sarei felice se potessi incamminarmi con calma verso una fontana! Non ero sicuro che piccolo principe avesse capito davvero la gravità della situazione in cui eravamo. Mi lanciò un’occhiata e mi disse: – Anch'io ho sete. Andiamo a cercare un pozzo. – Uff…– sospirai rumorosamente.  Mi sembrava assurdo mettersi a girovagare nel deserto sperando di trovare un pozzo, così per caso. Comunque, ci mettemmo in marcia.
Il Piccolo Principe
Camminammo in silenzio per ore, fino a quando scese la notte e le stelle cominciarono a brillare. Ero febbricitante a causa delle sete: guardavo il cielo e tutto mi sembrava un sogno. Le parole del piccolo principe fluttuavano nella mia mente.   – Anche tu hai sete? – gli chiesi. Allora, lui mi disse una frase piuttosto misteriosa: – L'acqua può far bene anche al cuore...   Rimasi in silenzio, anche se non avevo capito. Sapevo che non era il momento di tempestare il piccolo principe di domande. Era stanco, si sedette e io mi misi accanto a lui. Dopo un po’, parlò di nuovo: – Le stelle sono belle per merito di un fiore che non si può vedere... – Certo. – dissi e iniziai a osservare la forma delle dune di sabbia alla luce della luna. – Il deserto è bellissimo – mormorò il piccolo principe. Aveva proprio ragione. Lo so perché anch’io ho sempre amato il deserto. Laggiù, si sta su una duna di sabbia, senza vedere niente, senza sentire niente, eppure ci si accorge di qualcosa che riluce nel silenzio. – Il bello di ogni deserto, – sussurrò il piccolo principe – è che nasconde un pozzo da qualche parte. Avevo capito: era questo il segreto conservato dalla sabbia alla luce della luna. Quand’ero piccolo abitavo in una vecchia villa dove, secondo una leggenda, c’era un tesoro. Nessuno ha mai trovato questo tesoro, forse nessuno l’ha mai cercato, ma quella storia rendeva magica la mia casa. – Già, – dissi rivolto al piccolo principe – che sia una casa, le stelle o il deserto, ciò che rende belle e speciali le cose è invisibile! – Allora sei anche tu d’accordo con la mia volpe: sono contento!   Quando il piccolo principe si addormentò, lo presi in braccio e mi rimisi cammino.  Mi sembrava di tenere tra le braccia un tesoro fragile, la cosa più delicata al mondo. La luce della luna gli illuminava la fronte pallida, gli occhi chiusi e le ciocche di capelli biondi che tremolavano alla brezza. Allora pensai: "Quello che vedo è solo apparenza, ciò che conta davvero non si vede con gli occhi.”   Il mio amico sorrideva nel sonno, con le labbra socchiuse, e io continuavo a riflettere: "Ciò che mi commuove così tanto di questo piccolo principe addormentato è la sua attenzione verso un fiore, l'immagine di una rosa che brilla dentro di lui come la fiammella di una lampada, anche mentre sta dormendo..." E mi sembrò più delicato e fragile che mai. Bisogna sempre proteggere le lampade, una folata di vento potrebbe spegnere la loro fiammella.   All’alba io e il piccolo principe trovammo un pozzo. Che strano, quel pozzo! Non somigliava a quelli che si vedono nel deserto. Sembrava il pozzo di un villaggio, ma non c'era nessun villaggio nei dintorni. Mi sembrava di essere dentro a un sogno.   – Che cosa bizzarra, – dissi al piccolo principe – qui è tutto pronto per attingere l’acqua: la carrucola, il secchio e la corda... Il piccolo principe rise contento, provò a tirare la corda e la carrucola cigolò. – Lascia fare a me, è troppo pesante per te! – lo avvisai. Sollevai lentamente il secchio. Il sole rifletteva sull’acqua, che tremolava in piccole onde. Avvicinai il secchio al viso del piccolo principe, che bevve con gli occhi chiusi, gustando ogni sorso. Com’era fresca l’acqua! Era sgorgata dal nostro camminare sotto le stelle, dal suono della carrucola, dalla mia fatica di tirare sul il secchio. Il mio amico aveva ragione: faceva bene al cuore, era proprio un regalo! Era la stessa sensazione che provavo quando ero piccolo e le luci dell’albero di Natale, i canti della messa di mezzanotte e la tenerezza dei sorrisi illuminavano i doni che ricevevo.   – Gli esseri umani – disse il piccolo principe – fanno crescere cinquemila rose in un solo giardino. Eppure, non trovano quel che cercano… – Già, non ce la fanno a trovarlo… – concordai. – E pensare che potrebbero trovare ciò che cercano in un’unica rosa o in un sorso d’acqua… –osservò, e poi proseguì: – Ma gli occhi non ci vedono, occorre cercare con il cuore! La sabbia era del colore dell’ambra.  Bevvi anche io, che meraviglia! Respirai a pieni polmoni: mi sentivo di nuovo bene!  – Ti ricordi che devi mantenere la tua promessa? – mi sussurrò il piccolo principe, sedendosi a gambe incrociate vicino a me. – Eh? Che promessa? – Quella di disegnare una museruola per la mia pecora! Sai, sono responsabile della mia rosa… Presi i miei schizzi, che avevo tenuto in tasca. Guardandoli, il mio amico scoppiò a ridere e osservò: – I tuoi baobab hanno la forma di cavoli… ecco, sono baobaboli! – Ah! – mormorai. Che tristezza! Ero così fiero dei baobab che aveva disegnato…   Ma il piccolo principe non aveva ancora finito coi miei disegni.  – Hai disegnato la volpe con le orecchie troppo lunghe, – disse ridendo – Guardale, sembrano corna! – Sei ingiusto, piccolo! Io non ho mai detto di essere un artista fenomenale. – Oh! Non preoccuparti…– mi rassicurò all’improvviso – i bambini capiranno al volo i tuoi disegni.   Mi misi a disegnare una museruola per pecore. Poi lo guardai, e dissi:  – Tu mi stai nascondendo qualcosa… Mi diede spiegazioni? No.  Invece, mi disse un’altra cosa, arrossendo: – Domani sarà un anno esatto che sono arrivato qui sulla Terra. Sai, ero caduto proprio qui vicino…–   In quel momento, anche se non sapevo perché, mi si strinse il cuore. Riflettei un istante e gli domandai:  – Quindi quando ci siamo incontrati, la settimana scorsa nel bel mezzo del deserto, tu stavi andando nel posto dove eri atterrato?   Il faccino del piccolo principe diventò di nuovo rosso. Non confermò la mia ipotesi, ma arrossire senza rispondere significa sì, giusto? – Io ti aspetto qui. – disse e precisò: – Tu vai ad aggiustare il tuo aereo. Ci rivediamo domani sera…   Ero un po’ angosciato. Mi tornò in mente una cosa che aveva detto la volpe. Ricordate?  Si rischia di piangere un po’, quando ci si lascia addomesticare…   Finalmente, tornato al mio aero, riuscii a ripararlo. Che gioia: ormai non ci speravo più! La sera successiva, andai dove avevo lasciato il piccolo principe. Non distante dal pozzo, c’era quel che rimaneva di un muro fatto di pietre. Da lontano, vidi il mio amico seduto lì sopra, con le gambe a penzoloni. Stava parlando con qualcuno: – Allora non ti ricordi? – disse e poi precisò: – Non è proprio qui! Qualcuno doveva avergli risposto perché, poco dopo, il mio amico disse ancora: – Sì! Sì! Il giorno è giusto, ma il posto è sbagliato… Con chi stava parlando? Volevo scoprirlo. Mi avvicinai. Io non vedevo né sentivo chi era con lui, ma udii un’altra risposta del piccolo principe:  – Certo! Vedrai le mie orme sulla sabbia e non dovrai fare altro che aspettarmi. Ci vediamo questa sera… Ero quasi arrivato al muro ma ancora non vedevo nessuno oltre al mio amico. Il piccolo principe domandò ancora: – Il tuo veleno agisce in fretta? Sei sicuro che non soffrirò troppo? Mi bloccai. Continuavo a non capire ma sentii un tuffo al cuore. Sentii il piccolo principe che diceva al misterioso personaggio con cui stava parlando:  – Vai via, voglio tornare giù! Abbassai lo sguardo e quel che vidi mi fece rizzare i capelli in testa. Sulla sabbia c’era uno di quei serpenti gialli così velenosi che se ti mordono muori in pochi secondi. Il serpente scivolò nella sabbia e sparì. Raggiunsi il muro appena in tempo per prendere tra le braccia il piccolo principe, pallido come la neve. – Cosa significa questo discorso col serpente? Gli diedi da bere e lo rinfrescai, senza osare chiedergli altro. Lui mi abbracciò forte forte. Sentivo il suo cuore battere a tutta velocità, come quello di un uccellino a cui hanno appena sparato. Lui mormorò: – Sono contento che tu abbia aggiustato il tuo aereo. Così, finalmente, potrai tornare a casa… – Come fai a sapere che sono riuscito ad aggiustarlo?! Non rispose ma mi sorprese dicendo: – Sai che oggi anch’io tornerò a casa? – e aggiunse con un po’ di tristezza – È molto più lontano… arrivarci è molto più complicato. Capii che stava succedendo qualcosa di straordinario. Più lo abbracciavo, più mi sembrava che lui stesse scivolando via, in un abisso. E io non potevo fare niente per trattenerlo.  La sua espressione era seria e i suoi occhi erano persi in un punto lontano. Sussurrò: – Ho le tue pecore, la cassetta e la museruola… Dopo queste parole fece un sorriso, carico di malinconia. Sentii che, un po’ alla volta, il mio amico si stava riscaldando. Mi accorsi che stava riprendendo colore, così mi azzardai a dirgli:  – Tu hai avuto paura, vero? – Naturalmente, si era molto spaventato! Tuttavia sorrise e mi rispose: – Stasera ne avrò molta di più, di paura…   Pensando a quello che stava per succedere mi sentii raggelare. Non sopportavo l’idea di non sentire mai più la risata allegra del mio amico.  Ormai per me era come un pozzo nel deserto. Sussurai:  – Piccolo principe, guarda che io voglio ancora sentirti ridere… Lui sembrò cambiare discorso e mormorò:  – Stasera, sarà un anno da quando mi sono allontanato dal mio pianeta. La mia stella sarà proprio sopra il punto esatto dove sono caduto l’anno scorso… Non sapevo cosa dire ma provai a replicare: – É solo un brutto sogno… il serpente, l’appuntamento con la stella… giusto, piccolo principe? – Ciò che è davvero importante non si vede… – Sì, ciò che è davvero importante non si vede con gli occhi ma col cuore. –  dissi completando la frase. Poi, il piccolo principe parlò ancora: – È come il fiore. Se tu vuoi bene a un fiore che sta su una stella, diventa dolce di notte guardare il cielo. Tutte le stelle sono fiorite. – Certo… – Il mio amico proseguì nel suo discorso: – Tu guarderai le stelle. La mia stella è troppo piccina perché io possa indicartela, ma forse è meglio così. Perché la mia stella sarà una in mezzo alle altre e a te piacerà guardare tutte quante.  Così le stelle saranno tutte tue amiche. Ah, e poi ti faccio un regalo… – disse. E rise di contentezza al pensiero di avere un dono per me. – Come mi piace sentire quella risata! – sospirai io. – Sarà questo il mio regalo, sarà come per l’acqua…  – Cosa intendi dire?  – Intendo dire che le stelle non sono tutte uguali agli occhi delle persone: per chi viaggia, le stelle sono guide. Per alcuni, invece, sono solo lucine nel cielo. Per altri ancora sono problemi. Per il mio omarino d’affari erano oro. Ma tutte quelle stelle sono silenziose… tu, avrai stelle che nessuno ha!  – Mi spiegheresti meglio? – Quando guarderai il cielo notturno, dal momento che io abiterò sulla mia stella e riderò per te sarà come se tutte le stelle ridessero. Avrai stelle capaci di ridere! Rise di nuovo, contento, e riprese a parlare: – Sarai felice di avermi incontrato: tu sarai sempre mio amico. Ti verrà voglia di ridere insieme a me e allora aprirai la tua finestra nell’oscurità della tarda sera… i tuoi amici saranno molto stupiti di vederti ridere mentre guardi il cielo. Allora gli spiegherai: “Sì, le stelle mi fanno sempre ridere!”. E loro si diranno: “Ehi, ma è matto?”.  Oh, che scherzo che ti ho fatto… Rise ancora e poi proseguì: – Sarà come se ti avessi dato, al posto delle stelle, una miriade di sonagli che sanno ridere… Improvvisamente, però, il piccolo principe si fece tutto serio e mi disse: – Stanotte, per favore, non venire qui. – Io non ti lascerò solo.  – Sembrerà che io stia male, un po’ come se stessi morendo… non vale la pena che tu lo veda, davvero. – No, non ti lascerò. Sapevo che si stava preoccupando per me. Provò a spaventarmi:  – Ci sarà un serpente e i serpenti sono cattivi, sai?  Potrebbe morderti… – Comunque, io non ti lascerò. Ma un pensiero improvviso sembrò rassicurare il mio amico, che mormorò: – È anche vero però che ai serpenti non rimane veleno per un secondo morso…
Il Piccolo Principe
Quella sera non mi accorsi della sua partenza perché si era allontanato senza far rumore. Quando finalmente lo raggiunsi, vidi che camminava con passo spedito e l’espressione decisa. Mi notò e disse solo: – Ah! Sei tu… Poi mi prese per mano, ma presto si incupì. Non sembrava contento di avermi lì accanto a lui. Compresi quando mi disse in un sospiro: – Stai sbagliando, soffrirai… sembrerò morto, ma non sarà vero… Rimasi in silenzio. Ma lui continuava a parlare.  – Cerca di capirmi: è troppo lontano! Non posso portare con me questo corpo, è troppo pesante… Non dissi nulla ma lui invece disse ancora:  – Il mio corpicino sarà come un guscio vuoto e gettato via. Un triste e inutile guscio vuoto. Io continuavo a starmene zitto. Visto che non reagivo, lui si perse un po’ d’animo, ma poi riprese: – Sarà bello, sai? Anch’io guarderò le stelle… tutte le stelle saranno pozzi con una carrucola cigolante e mi daranno da bere. Io, impassibile, non reagivo. Lui provò ancora una volta ed esclamò: – Sarà davvero divertente! Tu avrai cinquecento milioni di piccoli sonagli. Io, invece, avrò cinquecento milioni di fontane… Dopo queste parole si zittì anche lui. Piangeva.  – Ci siamo quasi. Lasciami andare da solo… – sussurrò il piccolo principe. Le gambe gli tremavano e così si mise seduto sulla sabbia soffice. Poi disse, come se stesse provando a giustificarsi: – Sai una cosa? Sono responsabile del mio fiore: così ingenuo, così delicato! Ha appena quattro inutili spine per proteggersi dal mondo… Senti che le gambe mi cedevano e mi sedetti vicino a lui. – È tutto. – concluse il piccolo principe. Esitò ancora un istante, poi si alzò. Si mosse. Io, invece, non riuscivo a muovere un muscolo e mi limitavo a guardarlo. Poi, un lampo giallo guizzò vicino alla sua caviglia. Lui rimase immobile per un momento. Fu un attimo. Non urlò. Cadde, dolcemente e senza far rumore, sulla sabbia. Sono già passati sei anni da quando ho incontrato il piccolo principe. Non ho mai raccontato questa storia a nessuno. Gli amici che ho incontrato dopo essere uscito dal deserto sono stati molto felici di rivedermi vivo. A chi mi diceva che gli sembravo triste rispondevo che ero solo molto stanco.   All’alba, dopo quella notte, non ho ritrovato il suo corpo per cui sono certo che il piccolo principe sia tornato sul suo pianeta. Dopotutto, non era un corpo così pesante… Adesso di notte mi piace molto ascoltare le stelle: suonano come cinquecento milioni di piccoli sonagli. Ogni tanto penso al disegno della museruola. Ripensandoci, mi sono reso conto di averla disegnata senza il cinturino che serve per legarla al muso delle pecore. Quindi è inutilizzabile! “Cosa sarà successo sul suo pianeta?” mi chiedo allora “Forse le pecore hanno mangiato il fiore…” Ma poi mi rispondo sempre che non è possibile. Infatti, il piccolo principe sistema ogni notte il suo fiore sotto una campana di vetro e tiene sempre d’occhio le sue pecore. Quindi sono felice. E tutte le stelle sorridono con dolcezza.   Che grande mistero è questo! Per noi che vogliamo bene al piccolo principe, il fatto che da qualche parte nell’universo una pecora che non conosciamo abbia mangiato una rosa oppure no è una questione della massima importanza. Guarda il cielo e chiediti: le pecore hanno mangiato il fiore o no? E vedrai come tutto cambia… Nessuna persona adulta capirà mai perché è così importante.   Un giorno ho disegnato il luogo più bello e più triste del mondo: un deserto. È lo stesso luogo in cui il piccolo principe è a caduto sulla Terra, e da cui poi è scomparso. Se un giorno viaggerai in Africa, nel deserto del Sahara, per favore, non andare di fretta. Fermati per un po’ ad aspettare sotto le stelle! Se un bambino verrà da te, con la risata allegra, i capelli d’oro e l’abitudine di non rispondere mai alle domande, indovinerai subito chi è. Allora, scrivimi presto e fammi passare la malinconia. Non vedo l’ora di sapere che il piccolo principe è tornato… La morale di questa storia? Le cose davvero importanti della nostra vita non si vedono. Sono i legami con le persone a cui teniamo. Inoltre, il piccolo principe ricorda ai grandi di tornare un po’ bambini e invita i più piccoli a non dimenticarsi mai della magia dell’infanzia. La purezza, la curiosità e la sincerità dei bambini sono tesori preziosi.
Il Piccolo Principe