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Pollicino
Pollicino
EPISODIO 1
20 minuti
Pollicino
Pollicino
EPISODIO 2
20 minuti
C’erano una volta un boscaiolo e sua moglie che avevano una famiglia molto, molto numerosa: sette bambini, tutti maschi. Il maggiore aveva dieci anni e il più piccolo tre di meno.   Quella grande famiglia era costretta a stringersi in una casa piccina piccina. La casa piccolina, ahimè, non era l’unico grattacapo. Il boscaiolo e la moglie erano anche molto poveri e mettere in tavola il cibo per tutti era un’impresa. Come se non bastasse, i due avevano un’ulteriore preoccupazione. Il loro figlio minore era minuto e delicato come una foglia. E come una foglia era silenzioso. Infatti, parlava pochissimo ma mai a vanvera. Il suo carattere di poche parole però faceva credere a molte persone che fosse uno sciocco. Chissà come mai: la gente a volte è davvero strana! Appena nato quel bimbo era piccolissimo, grande appena un pollice, per cui fu chiamato Pollicino. La nostra storia inizia quando un triste giorno il taglialegna e la moglie, che erano i genitori di Pollicino e dei suoi fratelli, si ritrovarono senza più niente da dar mangiare ai loro bambini. Infatti, nel regno in cui vivevano era in corso una grande carestia. Così, col cuore in mille pezzi e le lacrime agli occhi, una sera il boscaiolo propose alla moglie di abbandonare i loro sette figli nella foresta: – Come sai, da giorni e giorni non abbiamo più neanche un pezzettino di pane per sfamare i bambini. Dobbiamo portarli nella foresta e lasciarli lì. Non ce la faccio più a sentirli piangere per la fame, poveri ragazzi! Portiamoli nel cuore della foresta con la scusa di aiutarci a fare la legna: mentre saranno intenti a raccogliere i rami, noi torneremo quatti quatti a casa senza che se ne accorgano. – – Come possiamo abbandonare i nostri cari bambini? Mai e poi mai! – singhiozzò la moglie stupita e addolorata.  Il boscaiolo allora le spiegò e rispiegò che, se non avessero abbandonato i ragazzi, la fame si sarebbe portata via tutta la famiglia, loro due compresi. Alla fine, aggiunse, forse nella foresta i loro bimbi si sarebbero imbattuti in qualcuno che si sarebbe preso cura di loro.   Era quello che sperava anche lui, ma a dire il vero ci credeva poco: chi mai durante una carestia si prende cura di sconosciuti ritrovati in un bosco? Eppure la moglie, disperata ed esausta, alla fine si convinse ad lasciare i ragazzini al loro destino, aggrappandosi proprio a questa speranza. Lei e il boscaiolo si asciugarono le lacrime e andarono a letto per provare a dormire un po’. I due avevano parlato davanti al camino, dopo aver messo a letto i bambini ed erano convinti che nessuno li avesse ascoltati. Che errore! Pollicino aveva il sonno leggero e, avendo sentito piangere i genitori, era sgusciato fuori dal letto e si era avvicinato al camino davanti al quale mamma e papà stavano discutendo. Piccolino com’era, era riuscito a nascondersi sotto lo sgabello davanti al focolare su cui era seduto il boscaiolo. Così aveva sentito tutto. Dopo che i genitori furono andati a letto, anche Pollicino si rimise sotto le coperte, ma senza chiudere occhio. Escogitò un piano e, appena si fece giorno, uscì di casa e corse sulla riva del fiume, dove si riempì le tasche di sassolini così bianchi da sembrare quasi luminosi. Poi tornò a casa prima che il resto della famiglia si alzasse. Quando tutti quanti furono svegli, il boscaiolo annunciò che tutta la famiglia sarebbe andata a fare legna nella foresta. Pollicino non disse nulla e si incamminò dietro a tutti gli altri. Cammin facendo però faceva cadere dietro di sé i candidi sassolini che aveva raccolto sulla riva del fiume. Giunsero in un punto particolarmente fitto e oscuro della foresta. il boscaiolo e sua moglie invitarono i piccoli a mettersi al lavoro e a raccogliere qualche fascina di legna. I ragazzi si misero subito all’opera. Nessuno vide i genitori allontanarsi. Ma che paura quando si accorsero di essere rimasti da soli nella foresta! Scoppiarono a piangere, tutti eccetto Pollicino che presto li rassicurò: – So come tornare a casa. Quindi, fratelli miei, smettete di piangere e soffiatevi il naso perché non c’è nulla di cui preoccuparsi. – Dopo che tutti si furono asciugati gli occhi e soffiati il naso (qualcuno aveva usato la manica della giacchetta invece del fazzoletto), Pollicino guidò tutto verso casa seguendo il sentiero formato dai sassolini bianchi che aveva fatto cadere lungo il cammino. Arrivati davanti alla porta esitarono a bussare: avevano capito, infatti, che mamma e papà li avevano lasciati nella foresta perché in casa non c’era più l’ombra di un tozzo di pane.   Ma c’era una cosa che i fratelli non sapevano. Di ritorno dalla foresta, i loro genitori avevano trovato il signore del villaggio che li aspettava impaziente fuori dalla porta di casa. Doveva saldare un vecchissimo debito col taglialegna, così vecchio che il pover’uomo se ne era dimenticato. Così, il nobilotto mise nelle mani del boscaiolo dieci scudi e se la filò, contento di aver saldato i conti col taglialegna. Quest’ultimo spedì subito la moglie ad acquistare bistecche, salsicce, fette di prosciutto e salame in quantità: non erano persone ingorde ma, sfiniti dalla fame com’erano, il loro unico pensiero era quello di mangiare a sazietà. Finalmente, marito e moglie fecero una bella scorpacciata come non succedeva dal giorno del loro matrimonio. Però a fine pasto, mettendosi una mano sulla pancia piena, la moglie del boscaiolo gemette: – Che peccato che i nostri figlioli non siano qui a mangiare con noi. –    Il marito la guardava senza parlare. Allora la donna, puntandogli l’indice contro  si mise a gridare.  – Sei proprio senza cuore! Io te l’avevo detto che non dovevamo abbandonare i bambini! – gli rinfacciò, con gli occhi che scintillavano di rabbia e tristezza.   Il taglialegna bofonchiò che non poteva certo immaginare che proprio quel giorno avrebbe ricevuto i dieci scudi che il signorotto del villaggio gli doveva da dieci anni. Sua moglie però non si placava e continuava a ripetere: – Dove sono i miei bimbi? Dove sono i miei bambini? –    Che sorpresa quando sentì delle vocine da dietro l’uscio che le risposero: –Siamo qui! –    E che felicità quando aprì la porta e si ritrovò davanti i suoi sette bambini, sorridenti anche se inzaccherati da qualche macchia di fango.  – Entrate bimbi miei e sedetevi a tavola. Finalmente potrete rifocillarvi a volontà! –  Detto fatto. I bambini si accomodarono a tavola e mangiarono con appetito, chi un cosciotto di pollo chi un’insalata ricca e ben condita. Per finire, tutti addentarono un’enorme e squisita fetta di torta al cioccolato ciascuno.  Da allora vissero felici e contenti? No.   La serenità in casa durò finché durò il denaro. Presto dei dieci scudi non rimase nemmeno un soldino per comprarci un cartoccio di caldarroste alla fiera.   Che fare?   La fame tornò a farsi sentire, i bambini a piangere e il taglialegna si convinse di nuovo che l’unica soluzione possibile era abbandonare i figli in un punto ancora più lontano della foresta. Riuscì a convincere anche la moglie. Anche questa volta Pollicino riuscì ad origliare la conversazione dei genitori. Quando però sul far del giorno fece per uscire di casa con l’intenzione di riempirsi le tasche di sassolini bianchi che lo avrebbero aiutato a ritrovare la strada, Pollicino trovò la porta chiusa a chiave e ben sprangata. Il bambino però non si perse d’animo. Quando la madre distribuì a ciascun figlio un boccone dell’ultima forma pane rimasta per colazione, lui infilò il suo pezzetto di pane in tasca. Aveva intenzione di usare le briciole per tenere traccia della strada percorsa nella foresta, proprio come aveva fatto con i sassolini bianchi. Il taglialegna disse a tutta la famiglia di seguirlo nella foresta per aiutarlo a far legna e Pollicino si mise in marcia in coda ai suoi fratelli senza batter ciglio. Addentrandosi nella foresta, disseminava le briciole di pane.  Questa volta, come deciso, i genitori portarono i bambini in un punto ancora più oscuro e fitto. le fronde degli alberi non facevano passare un raggio di sole. Per qualsiasi bambino sarebbe stato difficile orientarsi e non spaventarsi ascoltando i suoni misteriosi e inquietanti che echeggiavano nella foresta!  Anche questa volta il taglialegna e sua moglie, dopo aver messo al lavoro i figli, girarono i tacchi e tornarono a casa. Quando se ne accorse Pollicino fece spallucce: era fiducioso di ritrovare la strada grazie alle briciole di pane. Che delusione e che spavento quando si rese conto che gli uccellini le avevano becchettate tutte quante!  Pollicino impallidì e iniziò a tremare ma per fortuna nella foresta la luce era così poca che nessuno dei suoi fratelli se ne accorse. I sette ragazzini iniziarono a vagare fianco a fianco, alla cieca, nella foresta ma sembravano girare in tondo perché non riuscivano a scorgere una via d’uscita da nessuna parte.  Camminavano e piangevano, piangevano e camminavano con il minaccioso ululato di lupi invisibili che accompagnava ogni loro passo. Sarebbero sbucati dal buio e li avrebbero aggrediti?  Come se non bastasse, scoppiò un terribile temporale. Così all’ululato dei lupi si aggiunse il fragore dei tuoni.   I bambini rabbrividivano, un po’ per la paura un po’ perché erano zuppi di pioggia. Non avevano né ombrelli né impermeabili e fredde gocce di pioggia li punzecchiavano senza sosta. Finalmente, il temporale finì e nonostante fosse ancora fradicio e intirizzito Pollicino si arrampicò su un albero per vedere se dalla sua cima riusciva a scorgere un paese, una casa o un sentiero per uscire dalla foresta. Spalancò gli occhi, aguzzò la vista e finalmente notò un lumicino lontano lontano, che sembrava una candela accesa davanti alla finestra. Quella lucina era così minuscola che la casa da cui proveniva doveva essere lontanissima.  Cos’altro potevano fare Pollicino e i suoi fratelli? Gambe in spalla, si incamminarono in quella direzione.  Le ginocchia e le schiene di tutti si piegavano per la stanchezza, a volte sembravano smarrire la via ma, cammina cammina, giunsero alla porta di una casetta. Bussarono e quando l’uscio si aprì si ritrovarono davanti una signora grande e grossa. Chi era?
Pollicino
Pollicino e i suoi fratelli dopo tanto vagare nella foresta erano finalmente arrivati davanti a una casa. Bussarono alla porta e sull’uscio si affacciò una donna che, sorpresa e quasi intimorita, gli domandò che cosa ci facessero lì. A rispondere fu Pollicino che supplicò la donna di farli entrare e di permettergli, per favore, di passare la notte lì.   – Ma come?! – ribatté la donna portandosi una mano sulla bocca per lo stupore, – Non sapete che questa è la casa dell’Orco che mangia tutti i bambini? –   Lei era sinceramente dispiaciuta, ma cosa poteva fare? Se li avesse ospitati l’Orco li avrebbe divorati tutti e sette con gusto. Ma Pollicino decise di insistere: – Se stanotte non ci tenete qui, saranno i lupi a mangiarci in men che non si dica. Meglio passar la notte in casa dell’Orco e rischiare di finire nelle sue fauci.  Forse, signora, lei riuscirà a convincerlo a non mangiarci. –    Anche se era la moglie dell’Orco, in fondo quella donna aveva buon cuore e, alla fine, si lasciò persuadere.  Fece entrare i bambini e li sistemò davanti al focolare, su cui stava cuocendo una deliziosa cenetta per il marito. I vestiti dei piccini avevano appena iniziato ad asciugarsi quando sentirono bussare alla porta. I colpi sul legno sembravano cannonate. Era l’Orco, che stava rientrando. Allora sua moglie nascose in tutta fretta Pollicino e gli altri bambini dietro al divano e si precipitò ad aprirgli la porta.   – Bentornato, mio caro! – lo accolse la donna facendogli gli occhi dolci e allungando il collo verso di lui per dargli un bacio.  L’Orco però senza ricambiare il saluto la scostò bruscamente da sé e iniziò a fiutare l’aria nella stanza.   – Sento un profumino di bambini succulenti. Dove sono? – domandò con l’acquolina in bocca.  – Ma che dici, orcuccio mio? Quello che senti è il profumino della cenetta che ho preparato per te. Accomodati che ti leccherai i baffi! –  Purtroppo, l’Orco non si lasciò a convincere. Col nasone all’aria continuò ad annusare in giro finché non arrivò vicino al divano.   – Ah-ah! Sapevo che il mio fiuto non inganna! – esclamò scoprendo i bambini, strattonandoli, afferrandoli in malo modo per le braccia o le gambine e trascinandoli al centro della stanza.  I piccini piangevano e scongiuravano l’Orco di risparmiarli ma lui già li stava pregustando con gli occhi.   – Ricoperti di un appetitoso sughino e con contorno di patate arrosto saranno una vera bontà! – disse l’Orco tutto contento sfregandosi le mani. Andò alla libreria, prese da uno scaffale il ricettario Mille e un modo di cucinare i bambini e cominciò a sfogliarlo. Come preparare quei marmocchi? Al vapore? Glassati? Al forno? Bolliti? In insalata? O magari fritti? L’Orco leggeva le ricette con gusto.  – In ogni caso, – concluse – saranno una prelibatezza! –  – Ma quale prelibatezza! – ribatté la moglie – Questi qui son pelle e ossa. Poi, tutti sanno che i bambini fanno ingrassare. Sono anche difficili da digerire e pieni di colesterolo! – La moglie dell’Orco sbuffava e alzava gli occhi al cielo, sperando di far cambiare idea al marito e di salvare Pollicino e i suoi fratelli.   La donna strepitava incessantemente. E dopo un po’ aggiunse:  – Ah, dimenticavo! Ancora una cosa: dopo aver sfacchinato tutto il giorno scordati che io ricominci a cucinare per te. Pff! Che maritaccio ingrato. Io gli preparo una cena coi fiocchi e lui vuole che a quest’ora mi metta a preparare dei bambini. –  Esasperato, l’Orco alzò le manone in segno di resa.  –E va bene! E va bene… hai vinto! – sospirò, – Per stasera niente bimbi. Ma tra qualche giorno verrà a pranzo il mio amico Marcorco: glieli offrirò come secondo e farò un figurone! Intanto però, – ordinò alla donna per concludere il discorso – dai un bel piattone di pastasciutta col ragù a questi e falli ingrassare un po’. Non vorrei mai che il mio amico mi accusasse di offrirgli bambini di seconda scelta. –  Allora i sette malcapitati furono fatti sedere a tavola e davanti a ciascuno fu messo un bel piattone di cibo, che però nessuno toccò. Sapere di dover finire tra le fauci di un orco, infatti, fa passare l’appetito.   Non passò molto tempo che l’omaccione cominciò a sbadigliare rumorosamente e senza neanche coprirsi la boccaccia. Così, finalmente, se ne andò a letto.     A questo punto, dovete sapere che l’Orco aveva sette figlie, sette orchessine che assomigliavano al padre come gocce d’acqua. C’era da scommetterci che nel giro di un paio d’anni si sarebbero messe a mangiar bambini anche loro. L’Orco le adorava tanto che aveva regalato a ognuna di loro una coroncina d’oro. La portavano sempre in testa e non se la toglievano mai, nemmeno quando arrivava l’ora di andare a dormire.  Quando l’Orco era rientrato, le orchessine russavano da un pezzo nella loro stanza, tutte insieme in un grande letto. In quella camera c’era un altro grande giaciglio e proprio lì la moglie dell’Orco sistemò Pollicino e i fratelli per la notte. Gli disse di dormire e uscì chiudendo la porta, andandosene con la candela.  A causa della stanchezza e della paura, i bambini si addormentarono ancora col berretto in testa, tutti tranne Pollicino, che invece rimase ben sveglio. Non gli sfuggiva mai nulla e aveva notato che nel letto di fronte al loro ronfavano sette orchessine con sette coroncine d’oro.  Cosa fece allora Pollicino? Si alzò senza far rumore, si levò il berretto e tolse i berretti dalle teste dei fratelli. Poi, senza svegliar nessuno, li mise in testa alle figlie dell'Orco a cui aveva tolto le coroncine d’oro per sistemarle sulla testa sua e dei fratelli. Perché questo scambio di copricapi? Perché Pollicino, furbo com’era, aveva immaginato cosa sarebbe accaduto.   E cosa accadde?   Nel cuore della notte l’Orco si svegliò, in preda ad un certo languorino. Incapace di resistere, pensò che per uno spuntino di mezzanotte non ci fosse niente di meglio che qualche bambino saltato in padella. Sette bambini sono tanti da trascinare in cucina, specialmente quando non hanno nessuna voglia di essere mangiati. Così l’Orco, alzatosi e direttosi nell’altra camera da letto, aveva portato con sé un grosso sacco in cui chiuderceli dentro. Entrò nella stanza.L’Orco non vedeva a un palmo del proprio naso e brancolando nell’oscurità toccò le sette testoline di Pollicino e dei fratelli su cui erano posate coroncine d’oro.   Naturalmente, pensò che fossero le sue care orchessine e si diresse verso l’altro letto. L’Orco allungò le manone nell’oscurità e sentì sette berrettini. Ovviamente, credette che fossero i bambini che voleva mangiarsi.  Così, convinto di prendere di prendere Pollicino e gli altri, in men che non si dica, chiuse nel sacco le sue orchessine. Poi uscì dalla stanza, chiuse la porta e si diresse in cucina. Le orchessine prigioniere piangevano e strillavano ma l’Orco non riconobbe le loro voci.   Appena se ne andò, Pollicino cominciò a svegliare i fratelli, chiamandoli sottovoce ma scrollandoli con decisione.   – Pssst, psst! Sveglia, sveglia! – sussurrava.   Una volta che li ebbe destati tutti spiegò: – È il momento di darcela a gambe. Filiamocela! –  Poi saltò fuori dalla finestra, uscì in giardino e si mise a correre alla luce della luna, seguito a ruota dagli altri.   Nel frattempo, l’Orco era andato in cucina e si era messo a gridare per svegliare la moglie: – Uè, vieni qui a spadellarmi questi marmocchi che m’è venuta fame! –  La donna ciabattò in cucina sbadigliando e col cuore che le si stringeva per la sorte di quei poveri bambini. Che sorpresa quando l’Orco apri il sacco e si ritrovò davanti le sue orechessine che piangevano e strillavano! Come dar loro torto? È davvero spiacevole ritrovarsi chiuse in un sacco nel cuore della notte, essere sbatacchiate di qua e di là e poi scoprire che il tuo papà vuole cucinarti in pentola.     – Perdonatemi, tesorucci miei! – si scusava l’Orco. Prometteva coroncine nuove, giocattoli a non finire e valanghe di dolciumi, tutto purché smettessero di piangere. Quelle però non ne volevano sapere. Anzi, quando provò a baciarne una sulla testolina, l’orchessina gli morse il naso con i suoi dentini aguzzi.  Questo fu troppo per l’Orco, che esclamò: – Quel bimbo me la pagherà! E subito! –  Chiese alla moglie di passargli gli Stivali delle Sette Leghe, un paio di stivali magici che ad ogni passo di chi li indossava percorrevano sette leghe alla volta. Cosa significa? Che ad ogni passo l’Orco faceva un mucchio di strada!  Così si lanciò all’inseguimento, gridando: – Pollicino, quando ti acciuffo ti faccio a fettine! –.  Correva di qua e di là, passando di montagna in montagna, di collina in collina e di fiume in fiume. Pollicino, ancora in fuga, intuiva di avere l’Orco alle calcagna e che presto li avrebbe trovati.   Allora, fece nascondere i suoi fratelli in una caverna e aspettò.  L’inseguitore arrivò nelle vicinanze, ma ci arrivò stanco morto. Come mai? Perché gli Stivali delle Sette Leghe fanno percorrere un sacco di strada ma sono molto pesanti per chi li porta.  Così l’Orco, sapendo di essere vicinissimo alle sue prede, si appoggiò ad un grosso albero con l’intenzione di riposarsi un attimo ma alla fine si addormentò. Cosa accadde allora? Accadde che Pollicino gli si avvicinò pian pianino, gli sfilò delicatamente gli stivali dai piedoni e li indossò lui. Gli Stivali delle Sette Leghe hanno il magico potere di adattarsi ai piedi e alle gambe di chi li indossa. Quindi, in un baleno si rimpicciolirono, tanto che sembravano esser stati fatti su misura per lui.   Pollicino allora tornò a gran velocità a casa dell’Orco e quando la moglie gli aprì la porta disse:  – Signora, aiuto! Dei briganti hanno rapito suo marito e ora chiedono come riscatto metà dell’oro e dell’argento che avete in casa o lo faranno a pezzettini. Perciò il suo consorte mi ha chiesto di venir qui per prendere quello che domandano quei malandrini. Per fare presto e per dimostrare che non sto dicendo bugie mi ha prestato gli Stivali delle Sette Leghe. –  A sentire che era in pericolo la povera donna non capì più nulla: sapeva che suo marito era il tremendo Orco ma, nonostante tutto, lei gli voleva bene.  Quindi, senza fare altre domande, consegnò a Pollicino la metà dell’oro e dell’argento che aveva in casa. L’Orco aveva accumulato così tanti tesori negli anni che, anche quando Pollicino se ne prese la metà come risarcimento per quello che lui e i fratelli avevano dovuto subire, il cattivone e la sua famiglia non rimasero certo in miseria.   Alla luce del giorno Pollicino trovò facilmente la strada di casa e fu accolto con commozione dai genitori e dai fratelli, i quali nel frattempo erano riusciti a tornare.  Con l’oro e l’argento portati da Pollicino, il taglialegna riuscì a sfamare i figli fino alla fine della carestia e con le ricchezze avanzate mise su una segheria moderna ed efficiente, che lo faceva guadagnare abbastanza da risparmiare un bel po’ di denaro per proteggere la sua famiglia nei tempi difficili.  Anche i suoi figli maggiori, quando furono cresciuti, iniziarono a lavorare con lui prendendosi cura della foresta che gli dava da vivere, senza disboscarla dissennatamente.  E Pollicino?   Per un po’ di tempo grazie agli Stivali delle Sette Leghe fece il messaggero del re e il corriere per chi ne aveva bisogno. Recapitava le lettere del sovrano e, nel cuore dell’estate, consegnava gelati a decine di chilometri di distanza, freschi come appena usciti dalla gelateria. Portava anche le lettere tra innamorati impazienti, con le relative risposte.   I suoi servigi erano così ben pagati che quando si ritirò dall’attività era abbastanza ricco da non doversi mai più preoccupare del denaro in vita sua.  Pollicino aveva saputo farsi apprezzare e messo a frutto la sua intelligenza dal giorno in cui aveva salvato tutti i suoi fratelli per la prima volta. Della sua altezza e della corporatura piccolina non importava più niente a nessuno. La morale di questa storia? La grandezza di una persona non si misura dalla sua statura!
Pollicino